Sempre più spesso si sente parlare di impermeabilizzazioni in resina liquida PMMA, le quali vengono adottate in fase di costruzione dai progettisti più evoluti ed aggiornati, oppure nel risanamento di vecchie superfici soggette ad infiltrazioni d’acqua… Questo clamore è giustificato?
Facciamo una premessa: secondo un’indagine universitaria condotta all’interno dei tribunali, oltre il 50% dei contenziosi in contesto edilizio riguarda infiltrazioni d’acqua. Nel 54% delle sentenze, la colpa è stata attribuita a carenze nella progettazione o direzione lavori (fonte Assimp).
Lo scenario è paradossale: una voce che ricopre un costo marginale nella costruzione di un immobile, è responsabile della maggior parte delle problematiche post-costruttive.
La colpa non è attribuibile solamente alle carenze progettuali, ma anche alla brutta abitudine di subappaltare le opere di impermeabilizzazione con la preferenza del prezzo più basso, ad aziende non qualificate, nonché l’utilizzo di impermeabilizzanti che pur vantando nomi altisonanti, in realtà offrono prestazioni modeste. In fondo dovremmo chiederci: cosa possiamo pretendere da prodotti il cui costo al chilo è paragonabile a quello dell’acqua minerale?
Le resine PMMA per impermeabilizzazione non sono una novità, ma vengono utilizzate nell’Europa centrale da almeno 40 anni. L’evoluzione di questi prodotti ha portato ad un incremento delle prestazioni ed una diminuzione dei costi di produzione; ciò ha consentito una diffusione sempre maggiore della tecnologia.
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